Saturday, March 26, 2011

Le tecnologie e il "mestiere dello scienziato"

Si è concluso a ieri all'Università di Macerata un convegno internazionale, molto bello per la qualità degli interventi e il tenore del dibattito. Si è parlato di ricerca educativa, di come valutarne adeguatamente i prodotti,del ruolo delle riviste. Io sono stato invitato a tenervi una relazione  dal titolo "Paradigmi, metodi e tecnologie della ricerca educativa" che sarà pubblicata negli atti del convegno in uscita entro giugno di quest'anno. Ne anticipo in questo post una parte che ragiona sul ruolo mutato di chi fa ricerca.
Pierre Bourdieu, nel Mestiere dello scienziato (2003), estendendo la sua idea del capitale culturale alla comunità scientifica (capitale scientifico) vi distingue due retoriche che chiama repertorio empirista e repertorio contingente.
Il repertorio empirista è la retorica ufficiale della comunità scientifica: essa si esprime nei papers pubblicati sulle riviste e adotta una forma di comunicazione formale basata sull’espulsione della sfera soggettiva, sulla impersonalità, sulla controllabilità. Il repertorio contingente, invece, si esprime all’interno dei rapporti informali che gli studiosi hanno tra loro. Esso è fatto di intuizioni non dimostrate, di pratiche apprese con l’uso, di tutto il portato di cui il vissuto personale del ricercatore è costituito.
Queste due retoriche coesistono, anche se in forma ipocrita la comunità scientifica tende a nascondere la seconda costruendo così l’immagine ingannevole di un discorso scientifico che è il riflesso puro e semplice di una “conoscenza conoscente”. Di fatto, invece, se “dietro” quel discorso formale non ci fosse un habitus, «un “mestiere”, cioè un senso pratico dei problemi da trattare, dei modi più adeguati di trattarli, ecc.» (Bourdieu, 2003; 54) non avremmo neppure il discorso formale: «Questa padronanza pratica è una sorta di “connoisseurship” (arte del conoscitore) che può essere comunicata attraverso l’esempio, e non per via di precetti (contro la metodologia) e non è troppo diversa dall’arte di scovare un buon quadro, o di indicarne l’epoca e l’autore, senza essere necessariamente in grado di articolare i criteri impiegati» (Bourdieu, 2003; 54).
Ora, il capitale scientifico, ovvero quella particolare forma di potere simbolico dalla quale il ricercatore ricava il suo prestigio e la sua riconoscibilità all’interno della comunità scientifica, dipende tradizionalmente dalla posizione che egli si vede riconosciuta dai suoi colleghi/concorrenti proprio in ragione del suo repertorio empirico: lo strumento di questo riconoscimento è la citazione. Il duplice dispositivo dell’Impact Factor e dell’H-Index dipende da questa dialettica. Troviamo qui una prima “traiettoria”, un primo “stile”, che Bourdieu riconosce proprio dei “centrali”, degli “ortodossi”, dei “continuatori”.
Molto diversa da questa è la traiettoria dei “marginali”, degli “eretici”, dei “novatori” il cui habitus si esprime meglio in tutti quei momenti in cui sono chiamati a “essere se stessi”: nel momento degli esami, quando tengono delle relazioni nei seminari, quando accompagnano gli studenti nella redazione dei loro lavori, ma più semplicemente nel loro portamento, nei loro tic, nel loro modo di fare. Non è detto che questi tratti contraddistinguano il ricercatore riconosciuto dalla sua comunità scientifica: spesso sono propri invece del ricercatore che si guadagna una forte visibilità sociale (un fenomeno tipico di tutta la stagione neotelevisiva, in cui la presenza in studio dello “scienziato” in qualità di testimonial e certificatore è una costante) magari a discapito della sua posizione di marginalità nella sua comunità scientifica, oppure dello studioso che antepone alla “lotta per il riconoscimento” dentro la sua comunità scientifica, altri valori come la scelta educativa per lo studente.
Le tecnologie modificano in profondità questo rapporto.
In primo luogo, la possibilità di gestire un sito web o un blog personali, o ancor di più un profilo nei social network, favorisce la condivisione sociale del repertorio contingente del ricercatore. Questo comporta sia che il ricercatore dotato di un elevato capitale scientifico lo possa “spendere” anche socialmente fuori della sua comunità scientifica (nell’ambito della ricerca educativa è quanto succede per molti “guru” del momento, da Mizuko Ito, a Henry Jenkins, a Paul Gee), sia che ricercatori “marginali” o “eretici” ottengano un loro palcoscenico.
Al di là di questo, e in modo particolare per quanto attiene la ricerca educativa, la presenza del ricercatore all’interno della blogosfera o del social network ne costituisce uno strategico canale di comunicazione (e di influenza) sulle categorie professionali verso le quali la sua ricerca si sviluppa. È il caso degli insegnanti e della funzione che diversi ricercatori svolgono all’interno delle loro community, come il gruppo di Facebook “Insegnanti” o la comunità di Ning “La scuola che funziona”.
In entrambi i casi ci troviamo di fronte a una situazione molto diversa da quella del ricercatore che trova ospitalità sugli schermi dei media tradizionali. Infatti in questo caso, come Bourdieu ha fatto opportunamente rilevare, il ricercatore-opinionista televisivo, mentre guadagna in visibilità sociale il più delle volte perde il suo status di rispettabilità dentro la sua comunità scientifica. Nel caso dei social media la logica è diversa: soprattutto nel caso della ricerca educativa, essere presenti in essi rappresenta una scelta non dissonante ma complementare e coerente rispetto alla propria posizione all’interno della comunità scientifica.

Tuesday, March 1, 2011

Scegliere per il futuro


Nelle ultime settimane mi è capitato di partecipare, in contesti diversi, a iniziative di orientamento alla scelta universitaria degli studenti della scuola secondaria. Le riflessioni che ho condiviso con loro si possono organizzare attorno a tre punti: l'università oggi, le trasformazioni del mercato e del mondo del lavoro, alcuni consigli.

1. L'Università oggi
Il "processo di Bologna" come tutti sanno ha comportato la modifica degli ordinamenti universitari con l'introduzione del "3+2" e del sistema dei CFU (Crediti Formativi Universitari).
Le principali ragioni alla base di questa trasformazione erano:
- la facilitazione della mobilità degli studenti e dei docenti;
- il riconoscimento dei titoli per favorire l'occupazione nel mercato europeo.
Nel nostro Paese i risultati sono stati leggermente diversi:
- aumento del numero dei corsi di laurea (erano 3256 a fine 2008);
- proliferazione delle sedi periferiche (521 in 251 Comuni);
- moltiplicazione e differenziazione degli insegnamenti e delle loro denominazioni (che naturalmente ha significato moltiplicazione dei posti di ricercatore e di professore).
Risultato: disorientamento degli studenti e delle loro famiglie.
In questo momento il MIUR sta correggendo l'errore di sistema imponendo una drastica riduzione delle sedi, dei corsi, degli insegnamenti e anche dei posti. Inoltre sta aumentando il carico di insegnamento dei docenti in servizio.
Risultato: per la terza volta negli ultimi 5 anni le università stanno modificando la loro offerta formativa; un numero inferiore di professori con un maggiore carico di lavoro significa meno tempo per la ricerca e un aumento del rapporto docenti/studenti (e non si capisce sinceramente come questo possa significare aumento della qualità e più opportunità per i giovani). Il disorientamento degli studenti e delle famiglie resta.


2. Le trasformazioni del mercato e del mondo del lavoro
Indico solo alcuni elementi da tenere in considerazione nella scelta dell'università.
a) E' saltata la corrispondenza tra corso di studi e tipo di esito professionale (tranne che per i casi delle professioni in senso forte, dal medico al farmacista). Questo significa maggiore libertà nella scelta, ma anche maggiore impegno nel progettare il proprio futuro,
b) Si è modificato il concetto di professione/professionalità. Weberianamente lo si concepiva in termini di potere carismatico (appartenenza a una casta), oggi in termini di competenze. Questo significa che conta il voto di laurea, ma conterà sempre di più il Diploma Supplement che lo accompagna, ovvero la certificazione di quello che si sa fare.
c) Il mercato è dominato dal lavoro flessibile che ha subito un incremento del +36% negli ultimi quattro anni. Questo implica che i giovani (il 50,6% dei quali si immagina un futuro lontano dall'Italia secondo i dati Eurispes del Rapporto Italia 2011) ragionino in termini di occupabilità più che di occupazione.

3. Alcuni consigli
Come accostarsi alla scelta, allora? Quali le attenzioni da tenere? Alcune indicazioni di cui mi assumo la responsabilità.
a) L'Università è un luogo di formazione, ma lo è nella misura in cui vi si fa ricerca e vi si produce cultura. Quindi: scegliere "atenei di ricerca", non "atenei di erogazione".
b) L'Università è uno spazio di elaborazione culturale aperto ai diversi saperi. Quindi: vivere l'Università, frequentare, intercettare conferenze, seminari, occasioni di fare cultura, al di là del mero calcolo dei CFU.
c) Ragionare già fin dalla scuola secondaria in termini di portfolio delle proprie competenze per poi tradurle in CFU. Quindi: anticipare se possibile l'ottenimento di certificazione L2, diplomi e brevetti, e fare seriamente il proprio lavoro.
d) Infine, sfruttare le opportunità che l'Università offre, tra tutte la mobilità all'estero.